Oggi, nell'era del turnover dove tutti riescono a trovare uno spazio di utilizzo, non esiste più la trasmissione dell'esperienza e delle conoscenze da parte del giocatore più anziano verso quello più giovane, acquistato proprio per rilevarne il posto prima o poi. Una volta, invece, era una prassi assistere alla maturazione del nuovo talento sotto l'ala protettiva del titolare storico, che progressivamente finiva per lasciare il posto e accomodarsi in panchina.
Tutto questo provocava sommovimenti sentimentali di non poca entità nel popolo dei tifosi. Perché la riconoscenza nei confronti del veterano di tante battaglie nel calcio esiste, pochi ambiti della vita normale coltivano il culto della memoria in modo sano e puntuale. Al contempo, però, la curiosità verso la novità è una tentazione alla quale è impossibile sfuggire, a maggior ragione se c'è da rilevare un'eredità importante, quale quella rappresentata da Giuseppe Furino nella stagione 1982-83. Il suo penultimo anno in carriera, la sua tredicesima stagione in bianconero da professionista, dopo una lunga esperienza nel vivaio e qualche avventura sparsa in giro per l'Italia, tra Savona e Palermo.
Massimo Bonini è il nuovo mediano sul quale la Juventus punta (e a conferma del suo valore, ci saranno gli 8 anni trascorsi al servizio della Signora). E' già arrivato nel 1981-82, un anno nel quale Furia è il titolare più del doppio delle volte rispetto a lui. Il passaggio generazione compie un salto in avanti 365 giorni dopo, quando il ragazzo di San Marino sorpassa lo storico capitano nelle apparizioni dal primo minuto (37 a 28). Per Beppe non è comunque un periodo banale, com'è normale per uno con il suo carattere, per un combattente nato. In campionato, in un Juventus-Napoli, taglia il traguardo delle 500 presenze e non è una ricorrenza da trascurare, anche se quella non è epoca di grandi celebrazioni, né mediatiche, né sul campo. Non c'è juventino, in quel momento, a poter vantare una tale dimostrazione di fedeltà, che raggiungerà in seguito Gaetano Scirea, Alessandro Del Piero e Gigi Buffon.
ANDARE... IN UFFICIO
Furino va avanti, senza guardare mai indietro, non è nel suo stile, non si accontenta e arriva fino a 525 partite (saranno poi 528 l'anno dopo, quando dirà stop). Conoscendolo, gli piace l'idea di misurarsi con Bonini, di combattere per il posto e di comportarsi con la consueta professionalità e dedizione di sempre. Nel numero di marzo 1983 di Hurrà Juventus rivela di sentirsi tutt'altro che una riserva e di non amare quella retorica che inevitabilmente nasce con l'approssimarsi della fine dell'avventura calcistica, quando ti spingono ai bilanci di una vita mentre tu sei ancora lì a lottare domenica dopo domenica, mosso dall'idea di vincere sopra ogni altra cosa: «E'un periodo bello come tanti altri che ho vissuto qui, e mi piace sapere che posso continuare ancora».
E aggiunge poi che sua figlia, la piccola Federica – che anni dopo diventerà proprio una firma della rivista bianconera - «Quando passiamo nei pressi dello Stadio, si rivolge a mia moglie e dice, convinta: questo, vedi, è l'ufficio di papà». Un modo davvero originale per definire il mestiere del padre, per considerare un gioco come un lavoro...
LA TESTA E IL FISICO
Come fa un centrocampista di 36 anni ad avere ancora così tanta benzina in corpo? Sempre su Hurrà, ci pensa il dottor Francesco La Neve, medico sociale della Juventus, a rispondere ai lettori che gli pongono il quesito: «Furino è indiscutibilmente personaggio mastodontico. A renderlo tale hanno contribuito nel tempo una testa da campione ed un fisico senza pari. Proprio la sintesi di questi due valori fondamentali ha fatto sì che potesse esistere simile esempio di professionalità. Beppe ha indici di adattabilità allo sforzo che gli avrebbero consentito di emergere in qualsiasi specialità del mezzofondo. Ma questi splendidi valori da laboratorio si sarebbero stemperati se madre natura non avesse munito quest'atleta di quella grinta e quell'agonismo che sono i valori differenzianti di Furino».
Le gambe e il cervello, in estrema sintesi, producono uno spirito e una volontà inimitabili, qualcosa che è persino riduttivo misurare freddamente nei chilometri percorsi ad ogni gara. La conclusione è che l'età la si può sconfiggere, come sta accadendo a Dino Zoff, che chiuderà col calcio tre mesi dopo, a 41 anni: «In elementi di simile temperamento, dalla personalità spiccata, dal cuore gigantesco e dalla professionalità congenita, gli anni lasciano il tempo che trovano».