Black&White Stories: il sogno di Marco Storari

Uno dei meriti storici di Hurrà Juventusè stato l'allargamento dello sguardo intorno alla professione del calciatore, raccogliendo e valorizzando la curiosità del tifoso, che intorno all'idolo della domenica (come si diceva una volta quando quello era il giorno canonico della gara) ha sviluppato una marea di curiosità. Perciò, sin dagli anni '60, uno dei piaceri del lettore era l'ingresso nella casa dei giocatori, la scoperta della loro vita privata, la conoscenza degli affetti familiari. Un'indagine che permetteva di capire il nesso tra il campo e il fuori, oltre che godere di una sana chiacchierata più rilassata, lontana dagli eventi agonistici con tutti i loro condizionamenti.

Nonostante oggi il calcio sia narrato in tutti gli aspetti e la sensazione prevalente sia quello di sapere tutto o quasi - già solo perché gli stessi atleti si mettono in scena attraverso i social -, nel numero di aprile del 2015 un'intervista a Marco Storari pone in una luce nuova il portiere della Juve. Si scopre che c'è la stabilità familiare alla base di una carriera piena di deviazioni di percorso, con ben 12 squadre diverse e, quindi, i relativi traslochi. Una serenità e un'allegria regalate da una moglie e due figli piccoli, uno dei quali “sente” le partite e dice alla mamma che non vuole andare ai giardinetti a dare due calci al pallone: “Sai, questa sera papà gioca e mi devo rilassare prima della partita”.

I 5 ANNI IN BIANCONERO

Storari arriva alla Juventus nell'estate del 2010. La sua carriera è a un bivio importante. Con la Sampdoria ha appena conquistato i preliminari di Champions League, sfoderando una serie di prestazioni davvero eccezionali, come eccezionale è il risultato conseguito dal club blucerchiato. La Juve punta su di lui, c'è un'emergenza alla quale rispondere: l'infortunio patito da Gigi Buffon al Mondiale sudafricano. Marco arriva a Torino sapendo che partirà come titolare almeno per metà stagione, ma è ben lontano dal prevedere ciò che avverrà. Sarà la Juve la sua esperienza di maggiore continuità, 5 anni sintetizzati così: “Non pensai alla panchina futura, ma solo a quei sei mesi, in quanto ipotizzavo di andare poi a giocare da un'altra parte. Tornato Gigi, invece, ho accettato di rimanere in panchina per vari motivi, soprattutto perché mi sentivo parte di un gruppo competitivo e attratto da un progetto vincente. Avrei fatto il vice al più forte al mondo e ci poteva stare. È stata la decisione migliore”.

LA VOCAZIONE DI UN PORTIERE

Era abbastanza normale nel passato sentirsi fare un racconto standard dai portieri: avevano scelto nell'infanzia quel ruolo semplicemente perché negli altri non funzionavano. Nel calcio di strada era questa la logica che metteva tutti d'accordo, se non sei bravo con i piedi affidati alle mani se vuoi fare parte del gruppo. Non è il caso di Marco, la vocazione ha altre origini: “Ha influito il fatto che da bambino cercavo di emulare mio padre che era portiere a livello dilettantistico. Così quando giocavo con lui e con mia sorella gemella, che è una brava calciatrice, mi mettevo sempre in porta. Quando mi iscrissi alla scuola calcio dissi che volevo fare il portiere e non ho più cambiato”.

i calci di rigore

Cinque anni in bianconero, 4 scudetti, 1 Coppa Italia vissuta da protagonista (titolare dalla prima gara alla finale), 2 Supercoppe italiane. Un portiere dalle doti precise, su tutte il coraggio, la reattività e la personalità. C'è materia a sufficienza per essere più che soddisfatti, ma anche Marco Storari non sfugge alla regola che governa tutti, il desiderio quasi mai confessato di ogni guardiano della porta: “L'unica cosa che cambierei è nell'allenarmi a tirare i rigori da subito, perché il mio sogno è fare gol. Ne ho presi tanti, segnati mai”.