C'è stato un tempo dove il sabato sera - dalla fine di settembre al fatidico 6 gennaio quando si proclamavano i fortunati vincitori della Lotteria Italia - che l'intero Paese si sedeva in salotto e le famiglie (nessuno escluso) aspettavano un appuntamento canonico e rituale. Si assisteva tutti insieme a uno spettacolo in grado di calamitare attenzione, pareri e polemiche attorno alla musica leggera. Un patrimonio nazionale con il suo contorno di divi al pari del calcio, l'altra forma di divertimento che accomunava milioni di persone e che arrivava puntuale al pomeriggio del giorno dopo, fischio d'inizio ore 14.30 per tutte le otto partite in calendario, in rigorosa contemporaneità.
Canzonissimae la Serie A, questo è stato a lungo il weekend degli italiani e non fa eccezione il 1969, anno turbolento nella politica italiana (e un'eccezione tragica c'è, a dire il vero, il 13 dicembre, quando lo spettacolo canoro viene rinviato per il lutto nazionale determinato dalla strage di Piazza Fontana a Milano).
A stabilire un forte legame tra i due ambiti c'era il tifo. Perché la manifestazione canora era organizzata come un vero e proprio campionato o – ancor più precisamente – come una Champions League ante litteram, con fasi diverse fino ad arrivare a una finalissima che proponeva sei cantanti, ognuno dei quali proponeva il pezzo che era piaciuto maggiormente al pubblico. Che si esprimeva attraverso l'acquisto dei biglietti, ogni voto più che ispirarsi a un ideale di democrazia canora si legava al sogno di una vincita milionaria. Ognuno aveva uno o più beniamini, ma il giudizio popolare riguardava anche la complessità dello spettacolo diretto da Antonello Falqui. E quindi, tra un'esibizione e l'altra, non mancavano ulteriori discussioni sui presentatori – Johnny Dorelli e Raimondo Vianello per l'edizione del 1969 – e soprattutto sui balletti delle gemelle Kessler, Alice ed Ellen, le tedesche più note in Italia lungo tutto il decennio.
IL SABATO IN RITIRO
“Sarà bella o sarà brutta, farà ridere o farà chiudere il televisore, fatto sta comunque che Canzonissima di quest'anno fa parlare molto di sé”: nel numero di dicembre del 1969 Hurrà Juventus introduceva così la sua indagine presso i giocatori della squadra. Qual è il loro indice di gradimento nei confronti dello spettacolo proposto in tv al sabato sera, quando si è tutti in ritiro a consumare le ore in attesa della partita? Emergono gusti estremamente diversificati, alcuni decisamente antitetici. Francesco Morini ammette di non seguirla molto, preferisce “un buon libro”; BeppeFurino non si diverte: “Arrivo alla fine dello spettacolo con fatica, anche perché c'è poco umorismo”; Bob Vieri (il padre di Christian detto Bobo) la stronca: “Non mi dice nulla, non mi piace” , anche se resta a guardarla insieme ai compagni. E chissà come osserva coloro che invece la apprezzano come puro intrattenimento, come esprime Pietro Anastasi “Si passa un'oretta e mezza di distensione, senza problemi”. Il più entusiasta è il giovane Antonello Cuccureddu, che la definisce una “magnifica trasmissione” e svela di averla sempre vista, “anche gli scorsi anni, e non ne ho mai perso un numero”.
LE KESSLER A CENTROCAMPO
Molto più dei cantanti – vincerà per la cronaca Gianni Morandi, che ha voluto partecipare proprio per difendere il titolo di campione guadagnato nell'edizione precedente – a catalizzare l'attenzione sono le gemelle Kessler. Ed anche in questo caso, il dibattito è rovente. Scontata la calorosa approvazione del connazionale Helmut Haller, molto meno ovvia è la raffinata analisi sulle loro performance: “Le Kessler sono veramente brave; dicono che si ripetono sovente, ma occorre tenere presente la limitazione di spazio del palcoscenico, troppo piccolo per loro; io le ho viste al Lido di Parigi: tutta un'altra cosa”. Stessa posizione ha Erminio Favalli: “Le Kessler mi fanno impazzire”, e sette anni prima di Tutto il resto è noia di Franco Califano, esprime un concetto identico: “Guardo solo loro, il resto non mi interessa”. In controtendenza c'è Gianfranco Zigoni, che del resto diventerà famoso anche per pareri e look decisamente poco politically correct: “Le signorine Kessler sono sempre uguali, monotone, da dieci anni fanno sempre le stesse mosse, insomma mi sono venute a noia”. Sulla stessa lunghezza d'onda c'è anche Gianluigi Roveta: “ Non sono né carne né pesce”. Decisamente originale, infine, a conferma che gli allenatori sono dotati di uno sguardo diverso per definizione, è la valutazione del mister, Ercole Rabitti: “Le gemelle tedesche sono simpatiche, hanno molto talento, anche se si ripetono un po' troppo. Fossi allenatore di una squadra femminile le farei giocare mezze ali di centrocampo, col compito di scambiarsi di posto ogni due minuti; identiche come sono, metterei in imbarazzo i loro difensori, che non saprebbero più chi marcare...”