Non c'è giornalista sportivo che non sappia come a una domanda sulla tattica esistano due tipi di risposte immediate, quasi istintive, figlie naturali del ruolo che si occupa in campo. L'attaccante minimizza, spesso ammette di non esserne troppo incuriosito, quasi la sentisse come un limite interpretativo del gioco, una gabbia di tutte quelle dimensioni più individuali che invece lo appassionano. Senza contare che i bomber sentono di essere pesati sulla bilancia della concretezza, del numero di gol fatti, non si dichiarano mai soddisfatti del tutto se i movimenti sono stati giusti e impeccabili ma la rete non è arrivata. Se invece si parla con un difensore, ti si apre un mondo, scopri che la consapevolezza della propria funzione viene proposta sempre in relazione alle esigenze collettive, si percepisce che c'è un'abitudine a pensarsi come parte di un tutto. “La Juve ha Bonucci e Chiellini che dovrebbero tenere un corso universitario ad Harvard per come difendono“ ha dichiarato José Mourinho dopo Manchester United-Juventus della scorsa Champions League. Un riconoscimento esplicito del grado di sapere dei nostri centrali, pratico e teorico insieme, altrimenti non si diventa docenti di livello internazionale nella materia.
La riprova di questo nesso tra ruolo e lettura del calcio si ha in una serie di interviste del primo decennio degli anni 2000 proposte da Hurrà Juventus. Ne sono protagonisti Giorgio Chiellini (nello status ancora di “ricercatore”) e i due Fabio Mondiali, Cannavaro e Grosso. Un allenatore in campo (più tante altre cose) e due che quel mestiere hanno deciso d'intraprenderlo.
IL PRINCIPIO DELLA COMPATTEZZA
“Ho un’opinione netta: a farti vincere le partite è la compattezza di squadra”. Parla così il nostro attuale Capitano e ti viene in mente quanto lavoro debba fare dalle retrovie per garantire la giusta distanza tra i reparti. In un calcio più statico, si pensava che l'equilibrio tattico fosse compito preminente del reparto di mezzo, deputato a muovere la propria linea come una fisarmonica. Ma se vuoi prendere campo ed esercitare la supremazia territoriale come fa sistematicamente la Juve di oggi, è necessario mandare a memoria il giovane Chiellini dei primi anni in bianconero, quando aveva già maturato l'idea che “Le individualità possono farti vincere le partite, ma c’è bisogno di un atteggiamento collettivo”. Perché non può essere la ricetta per vincere un campionato chi pensa di “sopperire con la forza dell’attacco agli squilibri tattici”. Giorgio ne è fortemente convinto, “A gioco lungo non può reggere”.
TRA ORGANIZZAZIONE E ISTINTO
Il Chiello va anche oltre. Più di dieci anni fa trovava proprio nella “nostra organizzazione tattica” l'aspetto che contraddistingue il calcio italiano e lo rende diverso rispetto agli altri: “E’ una garanzia di competitività, mi piace che anche le gare contro le squadre più piccole siano difficili. Parlo da difensore, magari sbaglio, ma quando vedo nella Liga andare in casa del Barcellona, affrontarlo a viso aperto e uscire dal Nou Camp con cinque o sei reti sul groppone lo considero un affronto al calcio”.
Fabio Cannavaro, che valuta ancora oggi nel suo senso dell'anticipo la caratteristica dominante del suo essere difensore, all'epoca si preoccupava molto del libero arbitrio che il singolo comunque esercita, sempre che sia in grado di farlo: “La tattica non dev'essere esasperata, guai se in campo ti accorgi che stai diventando un burattino che deve assolvere a una serie di compiti. Quel che è necessario è possedere una buona organizzazione di base, poi bisogna che ci sia la possibilità di esprimere l'istinto del giocatore. Se hai un allenatore che t'insegna dei movimenti ma tu non riesci a leggere prima degli altri la giocata o non ti posizioni bene con il corpo c'è poco da fare, rischia di essere tutto inutile quel bagaglio di nozioni teoriche che hai appreso”.
Di istinto parla anche Fabio Grosso e viene spontaneo immaginare la discesa che determina il rigore contro l'Australia o la conclusione suggerita da Andrea Pirlo che fa saltare la difesa tedesca: “Se vado in certi spazi è anche perché in quel preciso istante ci credo e talvolta è il movimento esatto, quello che ci vuole per arrivare al tiro”. Ma anche lui è ancora uno studente in campo, “mi aiuta anche la forte passione che provo verso il calcio, mi piace guardarlo tutto e cerco di rubare anche i più piccoli segreti da quel che vedi per migliorarti costantemente. Mi applicavo da giovane e continuo ancora oggi, è così che puoi sperare di dare sempre il massimo in ogni partita”. Infine, arricchisce la sua riflessione con una considerazione che coglie quella che nel tempo è diventata una tendenza più netta, come ha certificato il recente investimento della Juventus su Matthijs De Ligt: “Bisogna considerare che nel calcio di oggi non è un modo di dire che tutti sono importanti allo stesso modo. Mi spiego così anche il fatto che il valore di tanti difensori sia cresciuto sul mercato. Un buon centrale può essere decisivo quanto un goleador ai fini della costruzione di una buona squadra”.