04 giugno 2020
In questi ultimi anni, più volte il dibattito della critica attorno alla Serie A si è orientato su una definizione di “mentalità europea” come obiettivo da raggiungere. Quando si è cercato di tradurre in numeri la riflessione proposta, molti si sono trovati d'accordo nel sostenere che il calcio dominante è quello che si basa su una forte identità offensiva e conseguentemente porta alla vittoria in base a un maggiore quantità di gol realizzati.
Come ogni disputa “culturale”, le posizioni spesso sono radicate e non tengono conto – o lo fanno in misura minima rispetto alla forza delle convinzioni – della verità (sempre che la si definisca e accetti come tale) dei dati statistici. La matematica non è un'opinione e certo può aiutare a formarne di più strutturate, anche se non tutto si può spiegare attraverso le cifre. E' opportuno, però, partire da queste. E limitando l'osservazione ai 5 principali campionati nel continente e alla scorsa stagione (2018-19), si vede come il panorama sia effettivamente univoco e stabilisce una regola: in Bundesliga ha trionfato il Bayern dal migliore attacco e dal capocannoniere Lewandowski, così come successo in Ligue 1 per il Psg trascinato da Mbappé e in Liga per il Barcellona di Messi. Piccola variazione – ma in fondo trascurabile – in Premier League, dove ha trionfato il Manchester City con il reparto offensivo più prolifico nonostante non abbia occupato nessun gradino del podio dei bomber. L'Italia è quindi un'eccezione: l'Atalanta col miglior attacco si piazza al terzo posto, la Juve vince da tradizione ricorrente con la difesa meno battuta e il re dei goleador è addirittura Fabio Quagliarella di una Sampdoria da centroclassifica, un'ulteriore anomalia rispetto agli altri Paesi.
Ma è sempre andata così? E' un tratto distintivo del nostro calcio, un fattore ereditario che ci portiamo dietro dalla notte dei tempi? La prima indagine da fare ci deve necessariamente portare nel secondo dopoguerra, quando la Serie A ha toccato medie realizzative mai più registrate, proponendo addirittura sette squadre capaci di toccare quota 100 e andare anche oltre. Eppure, anche in quel periodo, non era una garanzia di successo e solo quattro di esse riuscirono ad aggiudicarsi il torneo: il Grande Torino nel 1946-47 e l'anno dopo; la Juventus nel 1949-50; il Milan nel 1950-51.
301 GOL PER DUE SCUDETTI
A leggerlo, fa impressione. 301 gol in 3 campionati permettono alla Juventus all'inizio degli anni '50 di vincere “solo” due scudetti. Il motivo è semplice, persino banale: la tendenza a segnare tantissimo è diffusa, è la pratica normale di un calcio votato all'offensiva e che gode anche dell'apporto di campioni stranieri che si affacciano da protagonisti in un Paese che li accoglie in modo entusiastico. Disaggreghiamo il dato – come dicono gli esperti elettorali – nelle tre stagioni e andiamo a scoprire cosa succede.
Nel 1949-50 la Juve fa cifra tonda: 100 reti. Il Milan, staccato di 5 punti in classifica – un solco rilevante, si ricordi che ogni vittoria ne assegnava 2 e non 3 come oggi – vive la beffa di mettere alle spalle dei portieri 118 palloni e di vedersi sconfitto nella corsa al tricolore. Tra il capocannoniere del torneo, il rossonero Gunnar Nordahl e il terzo piazzato, lo juventino John Hansen, ci sono 7 centri di differenza. E come se non bastasse, nello scontro diretto a Torino, il Diavolo piega la Signora con un clamoroso 1-7. La Juve si laurea miglior difesa insieme alla Lazio, che però offensivamente è lontana anni luce, marcando la “miseria” di 67 reti...
Il campionato seguente è una corsa al gol per tutte le tre grandi. La Juve tocca quota 103 gol che le valgono il terzo posto di reparto e di classifica. La precedono il Milan Campione d'Italia e l'Inter, entrambe con 4 reti in più. Ma la differenza la fanno gli scontri diretti, più delle goleade, è lì che i bianconeri non riescono a stare al passo con le rivali.
Nel 1951-52 il campionato italiano perde complessivamente 91 gol rispetto alla precedente edizione. La Juve, però, si mantiene su livelli altissimi con 98 reti, 11 in più rispetto ai rossoneri che chiudono secondi. Il trionfo bianconero è totale: oltre a essere il migliore attacco e ad esprimere il capocannoniere con il danese John Hansen, è anche la difesa di gran lunga meno battuta. Non solo: la Juve conquista il titolo con un vantaggio corposo, che la porta alla certezza matematica alla quartultima giornata, un evento insolito per tornei tendenzialmente più equilibrati.
IL CALCIO SHOW DI JOHN E OMAR
Se due Scudetti in tre anni riportano la Juve a ristabilire una supremazia che mancava dal Quinquennio d'Oro, la Signora fa ancor più epoca con i tre titoli in quattro campionati tra la fine degli anni '50 e l'inizio del decennio successivo. John Charles e Omar Sivori diventano sinonimi di gol, spettacolo e vittorie. E se quella squadra fa innamorare come poche altre sono riuscite a fare, una buona parte la spiega anche una considerazione di perfetta coerenza statistica: ogni qualvolta è stata il miglior attacco, lo scudetto è arrivato con perfetta puntualità. Nell'unico caso in cui la macchina si è un po' inceppata – il 1958-59 – si è classificata quarta, in un'annata peraltro strana, con la Fiorentina dai 95 gol realizzati battuta dal Milan premiato dall'essere la difesa più ermetica.