13 gennaio 2014
52 punti, otto di vantaggio sulla seconda. 17 vittorie, di cui 11 consecutive, storico record. 46 gol fatti, contro i 12 subiti. La Juventus, alla fine del girone di andata, presenta numeri che vanno ben al di là del primato in classifica e dell'effimero, ma sempre piacevole titolo di Campione d'inverno. Sono dati che, oltre a certificare l'impressionante cammino della squadra, premiano il quotidiano impegno di ogni componente della squadra e del club. Un impegno cui rende merito Giuseppe Marotta, intervenendo ai microfoni di Radio Anch'io Sport, il giorno dopo il successo di Cagliari: «Dietro a questi risultati c'è fatica e una cultura del lavoro che ci porta ogni giorno a curare ogni minimo dettaglio. C'è la capacità di Conte di coniugare le sue competenze calcistiche con le sue abilità di gestore del gruppo e di psicologo, capacità che gli permettono di motivare la squadra in ogni partita. C'è, come sempre accade quando si vince, una società forte alle spalle: la Juve è grande per la storia che ha scritto e per il senso di appartenenza della Famiglia. Andrea Agnelli ha una vasta cultura calcistica, fin da quando era bambino respirava l'odore di canfora dello spogliatoio e ha saputo costruire un modello societario che permette all'allenatore e alla squadra di lavorare nelle migliori condizioni possibili. Lo ha fatto dando ampie deleghe ai manager, che possono operare mettendo la loro professionalità al servizio di un duplice obiettivo: allestire una squadra competitiva e garantire all'azienda l'equilibrio patrimoniale».
Un compito non semplice, ma tremendamente stimolante, specie in un contesto europeo nel quale non tutti i club si muovono nella direzione del fair play finanziario voluto dall'Uefa: «Il calcio dev'essere un'attività sostenibile – spiega l'amministratore delegato - nella quale si deve cercare di limitare le perdite. La Juventus da poco ha lanciato un aumento di capitale sottoscritto dai suoi azionisti e non sarebbe giusto richiamarli sovente a interventi di questo tipo, ma anzi dobbiamo perseguire i nostri obiettivi, senza presentare bilanci catastrofici. Il fair play finanziario dev'essere un monito per certe gestioni che portano invece ad avere costi ben differenti dai ricavi e nelle quali i ricchi proprietari, molto simili ai mecenati di un tempo, operano spese folli, molto lontane dal buon senso oltre che dalle regole».
Attenzione al bilancio del resto, non significa necessariamente sobrietà, né impossibilità di trattenere i propri campioni, per quanto, come Paul Pogba, siano corteggiati da tutta Europa: «Nella sua storia la Juventus è stata spesso “compratrice” e raramente “venditrice” - ricorda Marotta - e noi vogliamo consolidare il gruppo, pur nel rispetto di parametri rigidi. Pogba è un giocatore importante e non vogliamo venderlo, anzi, in questo periodo abbiamo cortesemente “chiuso la porta” a chi si è fatto avanti».
Con l'esplosione del francese alcune gerarchie sono mutate e anche un campione come Claudio Marchisio, nell'ultimo periodo, si è dovuto sedere in panchina qualche volta, salvo poi alzarsi e risolvere la partita come domenica a Cagliari: «Claudio indossa questa maglia da quando ha otto anni, la ama ed è juventino nel dna. Proprio per questo sa perfettamente che una squadra come la Juve non è composta da undici titolari, ma da una rosa più ampia, i cui giocatori possono attraversare momenti diversi, in cui si è più o meno impiegati. Marchisio è un serissimo professionista e credo che l'abbraccio tra lui e Conte a Cagliari, a fine partita, sia sintomatico della sua serenità».
Marotta completa il focus sul centrocampo con il rinnovo del contratto di Pirlo, argomento spesso trattato dai media nell'ultimo periodo: «Lui stesso ha definito la Juve come il suo habitat naturale. Ha parlato con il Presidente e io ho fatto altrettanto con i suoi rappresentanti. Probabilmente a febbraio arriveremo ad una soluzione positiva».
I migliori non si muovono da Torino insomma e, che si parli degli interpreti o del direttore d'orchestra, la musica non cambia: «Dal suo approdo alla Juve, Conte ha bruciato le tappe, vincendo due scudetti, due Supercoppe italiane, centrando i quarti di Champions League e creando una grande squadra. E' uno dei migliori allenatori del mondo e, per quanto il palcoscenico italiano al momento sia limitato, ricordo che siamo la Juve: una società che ha un palmares ricco, che sta riacquistando credibilità a livello internazionale, che vuole crescere ancora e conquistare altri successi. Per farlo, oltre al potere economico, serve competenza tecnica e Conte e la sua squadra, da questo punto di vista, si sono dimostrati all'altezza degli avversari. Mi auguro quindi che per il nostro allenatore possa delinearsi una situazione come quelle vissute da Ferguson o da Wenger».
Il riferimento di Marotta al palcoscenico italiano non è casuale. In effetti la Serie A, in questo momento, ha meno appeal rispetto ad altri campionati, anche a causa di un evidente divario tra le prime in classifica e le altre realtà: «Tra la testa e la coda c'è un abisso - ribadisce Marotta - non solo in termini di punti, ma anche di qualità. Dal punto di vista tecnico il nostro campionato si è impoverito, ma le squadre di vertice possono competere con le migliori d'Europa».
E le squadre di vertice, oltre alla Juve, sono Roma e Napoli, al momento staccate, ma ancora vive, come dimostra l'ultima giornata. Ecco quindi che il cospicuo vantaggio non deve far abbassare la guardia ai bianconeri, anche perché presto, tra campionato, Coppa Italia ed Europa League, non ci sarà un attimo di respiro: «Vincere il terzo scudetto consecutivo sarebbe un'impresa storica. La società, la squadra e l'allenatore sentono fortemente questo obiettivo e le premesse per raggiungerlo ci sono. Ora però siamo al giro di boa e così come siamo stati bravi noi a recuperare velocemente punti alla Roma, può accadere anche il contrario. Inoltre i giallorossi potranno pianificare gli impegni, mentre noi e il Napoli saremo alle prese anche con l'Europa League, il che comporterà trasferte faticose e metodologie di allenamento particolari. Basti pensare che giocheremo a Trebisonda giovedì 27 febbraio, rientreremo il venerdì e la domenica giocheremo contro il Milan. A questo si aggiunga il fatto che abbiamo diversi giocatori impegnati con le Nazionali. Questi ragazzi lo scorso anno sono stati in ritiro per quasi 200 giorni: un dato che fa ben comprendere quanto si debba essere bravi a gestire gli aspetti psicofisici».
L'attenzione si sposta infine all'ultima giornata di campionato che, oltre alla sonante vittoria della Juve al Sant'Elia, ha visto l'esplosione di Domenico Berardi. Per le sue quattro reti al Milan esulta tutta Sassuolo, ma anche in casa Juve c'è di che sorridere, visto che il diciannovenne attaccante è in comproprietà con la società emiliana: «Dobbiamo guardare avanti e non accontentarci dei risultati del presente. Per farlo servono programmazione, strategia e monitoraggio dei giovani. Ho la fortuna di avere al mio fianco Fabio Paratici che coordina una squadra di scouting dalla quale nascono operazioni come quella di Berardi, con il quale abbiamo colto un'opportunità quest'estate. In Serie A, oltre a lui ci sono altri giocatori come Immobile, Gabbiadini, Sorensen, Zaza e Marrone che se non sono del tutto nostri sono in comproprietà e molti altri sono in giro per l'Europa o in serie B. Rappresentano una base importante per creare in futuro un mix di giovani e giocatori esperti, che credo dia il mix più corretto per formare una squadra. Quanto a Berardi,ora è azzardato dire che possa far parte della rosa nella prossima stagione. Ha 19 anni e la maglia della Juve è pesante anche per i più talentuosi. Si vedrà più avanti, a seconda delle nostre esigenze e del suo processo di crescita. In ogni caso i rapporti con il Presidente del Sassuolo Squinzi sono ottimi e potremo costruire un proficuo rapporto di collaborazione. Milan in crisi? Nel calcio esistono dei cicli e la cosa più difficile per un dirigente è capire quando inizia il declino. Il Milan ha al timone una persona scafata come Galliani - conclude Marotta - e mi auguro che riesca a riportare la squadra al più presto ai suoi livelli abituali. Per batterlo e arrivare prima di lui».