22 febbraio 2014
Riguardando le sue foto da piccolo, quando giocava a calcio per i vicoli di Fuerte Apache, la prima cosa che viene alla mente di Carlos Tevez è la strada percorsa per arrivare fin qui oggi, a vestire i colori bianconeri. «Uno quasi non si accorge di questo, lascia che il tempo passa e ad un certo punto a me è toccato il momento di debuttare nel Boca».
Da quel momento in poi, non si è più fermato: nella vita così come nella sua carriera da stella del futbol mondiale, la sua è stata una corsa a testa alta, senza mai risparmiarsi. Il recupero prodigioso al 94’ di una partita di Europa League in cui si aspettava solo il fischio finale è la metafora di un campione: un gesto atletico di profonda umiltà e carattere che è valso un gol ma, soprattutto, l’ennesimo attestato di stima e ammirazione di chiunque ami il gioco del calcio. E pensare che non molto tempo fa, ha confessato Carlitos, «non mi importava molto di continuare a giocare, volevo solo stare con la mia famiglia e stare tranquillo». Per nostra fortuna, l’Apache è uno che non molla mai. Intervistato da Sky all’indomani della partita contro il Trabzonspor, si limita a ricordare con semplicità quanto sia necessario rimanere concentrati anche durante la insidiosa trasferta di Trebisonda. «Non siamo ancora tranquilli, la serie è ancora aperta, continuiamo a lavorare per fare una gran partita in casa loro».
Della “maledizione” di non segnare in Europa, come la chiamano i giornalisti, lui non si cura. E’ un fuoriclasse con l’animo operaio di chi conosce la parola ‘sacrificio’: «Non mi pesa, penso che quando meno te lo immagini il gol arriva, non impazzisco. Sono contento che la squadra abbia vinto due a zero, questo è l’importante, non certo se segno io».
La Champions è il passato e il futuro del club, non certo il presente: «Ora bisogna pensare all’Europa League e al campionato, dobbiamo giocare entrambe le partite con personalità». Domani c’è il derby della Mole contro un Torino definito «forte», capace di complicarci la vita all’andata.
Anche per il ritorno Carlitos non si aspetta certo una partita facile, soprattutto i pericolosi terminali offensivi che Ventura può schierare. Gente in forma come Immobile, con cui proprio nella partita di andata si scontrò sul terreno di gioco. La foto della caviglia malconcia pubblicata su Twitter fece parlare i media: un gesto, ha spiegato Carlitos, non certo diretto all’attaccante del Torino ma alla vena polemica di alcuni tifosi.
«Contro di lui non ho nulla, ho messo la foto solo perché i tifosi del Torino si lamentavano per l’arbitraggio. Non sono d’accordo con tutti coloro che dicono che gli arbitri sbagliano sempre in favore della Juve: per questo pubblicai quella foto. Non ho nulla contro Immobile. E’ un gran giocatore. Parlo sempre bene dei miei colleghi negli altri club».
Della Selección Tevez non ha fatto mistero di non voler parlare. Ciò che più gli preme è, invece, ringraziare tutti i tifosi che lo appoggiano ogni giorno, provando a farlo « anche sul campo con la mia squadra, che è la Juventus. L’unica, vera selección è la Juve, in questo momento»
Fu proprio il trasferimento alla Vecchia Signora, ha rivelato Tevez, a motivarlo a continuare a giocare dopo l’esperienza al City. «Non ho dovuto pensare molto, solo firmare», è stato il semplice quanto profondo attestato d’amore del campione argentino.
A Torino ha trovato un altro fuoriclasse insaziabile di vittorie, proprio come lui. «Conte è un campione, non gli piace perdere mai, vuole sempre vincere e fa tutto il possibile prima delle partite per avere tutto sotto controllo. Le prepara come nessun altro. Ci unisce il fatto che a nessuno dei due piace perdere», ha confessato Carlitos ai giornalisti di Sky.
Alla Juventus è toccato in sorte il numero 10. Lui, che sta onorando la prestigiosa maglia minuto dopo minuto, si è detto privilegiato, ma ha anche aggiunto che «dal momento che sono arrivato, ho detto che avrei rispettare la maglia e il gran giocatori passati da questo numero e da questo emblema. Ma quando metto la maglia della Juve, quasi non so che numero ho dietro: so che devo lottare per il simbolo della Juve, che abbia il 10 o il 32 addosso, devo dare tutto in campo per il club».
Bad boy? «So cosa significa e non mi sento tale», ha detto il campione argentino, promettendo che – sempre che non venga vietato - continuerà a ricordare i suoi amici e tifosi di Fuerte Apache e delle villas di Buenos Aires come ha sempre fatto, ma solo dopo il Mondiale per non dare adito a polemiche. «Se lo proibiscono», ha concluso, «sarebbe come togliere al futbol la passione. E il futbol altro non è che passione».