29 maggio 2020
La parola Heysel è una di quelle che mai e poi mai potremo dimenticare.
Sono passati trentacinque anni, ma la memoria di chi c’era, di chi ha assistito dai teleschermi di casa, e anche di chi non era ancora nato ma ha conosciuto i fatti leggendo i libri di storia, è qualcosa che si risveglia, immediatamente, al solo leggere o sentire quella parola.
Heysel.
Quel giorno a Bruxelles c’era il sole. Un sole che stava lasciando sul campo i suoi ultimi raggi, quando proprio su quel campo, e su quegli spalti, prima dell’inizio della Finale di Coppa dei Campioni fra Juve e Liverpool, si consumò l’incredibile.
Si consumò l’orrore.
Successe tutto in pochi istanti: le cariche, la corsa per scappare, quel muro che crolla. E il panico. Una notte, quella di Bruxelles, che si portò via 39 persone, quasi tutte italiane: il più giovane fra loro aveva solo dieci anni.
È alla loro memoria che oggi, come ogni giorno, dedichiamo il nostro raccoglimento, e il nostro dolore.
Perché passano gli anni, ma quella parola continua a evocare in noi lo stesso, immutato dolore.
Heysel.